Le vesti del Re

Bàradmen era un grande Re che viveva e governava una antica città che sorgeva sulle rive del Grande Fiume, molto a sud. Egli divenne Re molto, molto giovane, quando ancora non si sentiva pronto per farlo, eppure dovette governare il suo popolo. Per non creare insicurezza nel popolo doveva mostrare di essere deciso e capace in quello che faceva. E dovette mostrare di più di ciò che realmente sapeva fare. Fece vedere il suo potere, raccontò il suo stretto contatto con gli Dei come fosse una favola, e tutti lo ammiravano, lo riverivano e lo rispettavano.
Quando giunse il trentesimo anno della sua vita e quando ormai il suo ruolo di sovrano era ben solido, pian piano un’angoscia sempre crescente lo colse. Sentiva il peso di ciò che diceva, il peso di ciò che raccontava, il peso di essere un sovrano. Di notte, quando questi pensieri gli attanagliavano la mente, Bàradmen si svegliava con la fronte madida di sudore e i brividi che gli correvano lungo la schiena. Dopo un anno, nel quale l’idea di andare a coricarsi era diventata un incubo, al pensiero dell’immancabile sobbalzo notturno, decise di consultare un saggio che viveva solitario in una casa fuori dalle mura della città, sulle rive del fiume. Da lui si recò; il saggio ascoltò ciò che gli diceva, non disse nulla. Bàradmen chiese: “Dàmmi un consiglio!” e il saggio, dopo lunga insistenza gli disse: “Allontanati un attimo da ciò che sei, vattene vestito con abiti da mercante in un altra città.” Bàradmen pensò a lungo, era difficile lasciare la città, ma sistemò le cose in modo che non ci fosse bisogno di lui per almeno due settimane. Si procurò abiti da mercante e nottetempo uscì dalle mura della città e si allontanò. Giunse dopo un viaggio a cavallo il giorno dopo in un’altra città, ove nessuno lo conosceva, o meglio, se anche lo avessero già visto non lo avrebbero riconosciuto, in quanto i suoi abiti e le sue vesti erano molto differenti.
Cominciò a camminare tra le persone, ad andare dove si mangiava e si beveva, ad andare nella piazza e parlare; si accorse ben presto che la sua arte di parlare influenzava le persone comunque, si accorse che in poco tempo tutti lo rispettavano e lo riverivano, pur non riconoscendolo come Re. Ma questo non bastava, e la sua angoscia dentro di lui non mutava. Dopo una settimana ritornò dal saggio, e il saggio questa volta, guardandolo diritto negli occhi, col viso rilassato e sorridente, gli disse: “Non importa che tu abbia abbandonato la veste che copre il tuo corpo, quando hai mantenuto la veste che copre il tuo animo. Sei andato in un altro paese dove non eri sovrano, ma hai usato le stesse parole e come nella tua città, tutti sono rimasti incantati. Come vedi, non serve neppure cambiare l’abito e la città, rimani qui, rimani qui con me. Resta chiuso dentro una capanna, per una settimana ti darò il cibo, null’altro.”
Re Bàradmen pensò che questo fosse un compito assai semplice per lui e si fece chiudere dal saggio in una capanna. La prima giornata passò tranquillamente; la seconda un’angoscia fortissima lo colse, non aveva nessuno con cui essere un Re, né nell’aspetto, né nelle parole, né nel modo. Nessuno su cui esercitare il suo potere, nessuno che lo riconosceva per la sua intelligenza e per le sue capacità. Il terzo giorno, terribili demoni si affacciarono alla sua mente, si sentì come una goccia nel mare. A nessuno nulla importava cosa e chi lui fosse. Senza gli altri, lui non era nulla. Il tempo passò, la sua angoscia crebbe e si trasformò in quasi pazzia: non sapeva più chi era e cos’era, come un uomo che, battendo la testa in un sasso, non ricordi più il suo nome.
Dopo il settimo giorno il saggio aprì la porta e trovò un uomo distrutto nel corpo e nello spirito, che si inginocchiò davanti a lui e gli chiese aiuto. Il saggio, sempre sorridendo, si sedette, prese al sovrano la testa, la mise sulle sue ginocchia e, accarezzandogli i capelli, gli disse: “Il tuo cuore resta il cuore di un sovrano, usa quel cuore, usa anche le parole, ma solo quando esse sono necessarie, usa anche il tuo essere Re, ma solo quando questo è indispensabile. Per il resto sappi trovare il tuo essere come un granello di sabbia nel deserto, perché tu sei sia il granello, che il sovrano, usa il ruolo quando serve, ma non fare sì che questo sia l’unico modo di essere della tua vita, poiché questo non ti soddisfa più. Solo dentro il granello di sabbia puoi trovare l’immensità del deserto!”.
Il Re sentì entrare dentro il suo cuore quelle parole, sapeva che un lungo cammino l’avrebbe atteso, un cammino più difficile di quello di diventare un Re potente, ma che forse lo avrebbe condotto verso quel prezioso granello di sabbia che era dentro di lui.

Non so, o mio Re, se voglio dirti nulla su questa storia, credo che tu possa comunque comprenderla. Spesso l’uomo non accetta la sua piccolezza e la sua semplicità e cerca, attraverso i suoi modi, le sue parole, i suoi atteggiamenti, i suoi comportamenti, di essere riconosciuto per un ruolo che ricopre. Ma non gli basterà a lungo. L’angoscia avrà il sopravvento.
Finché non avrà la capacità di guardare quel piccolo granello di sabbia e comprendere che si può essere allo stesso tempo il sovrano e il granello di sabbia, il suo essere non sarà completo. Ma se si comprende questo, si comprende l’esistenza, ciò che sta dentro, ciò che sta fuori. E l’essere pur anco un Re sarà solo uno strumento e non il padrone della nostra mente e del nostro cuore.
Comprendi, o mio Re?

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