Il piccolo uomo

Aisainer era un giovane cui era morto il padre quando era ancora bambino, la cui madre aveva usato tutti i pochi beni che gli erano restati per tirare su i figli, di cui egli era il più grande. La povera donna era smagrita per risparmiare il cibo da dare ai figli, ma nonostante i sacrifici tutti i loro beni terminarono proprio quando Aisainer raggiunse il tredicesimo anno di età. Pur così giovane fu felice e animato da fuoco sincero quando pensò di lavorare le poche ingenerose terre che erano rimaste, per guadagnare qualcosa di cui sfamare la sua famiglia.
Grande fu la sua responsabilità, che sembrava non gravare troppo per la giovane età, ma le linee del suo viso cominciarono a somigliare a quelle di un uomo e le mani, ruvide nei polpastrelli, palesavano un frequente uso di pesanti arnesi di lavoro.
Aisainer annebbiò la sua giovane età e ciò che questa  procurava nel cuore e nel corpo per perseguire la sua missione di essere la colonna della famiglia.
Il terreno, pur arido, iniziò a dare i suoi frutti ed ogni sette giorni il piccolo uomo si recava nel paese vicino a vendere i proventi del suo lavoro. Oramai aveva raggiunto i diciassette anni e quando incontrava giovani donne, cui il vento faceva aderire le stoffe degli abiti alla pelle, o fanciulle che celando il viso con la mano lo guardavano ammirate, sentiva che il suo corpo era un po’ come quando si bagnava con l’acqua fredda, dopo aver preso il sole: tutti i piccoli peluzzi che ricoprivano le sue braccia sembrava quasi che diventassero più ispidi, il cuore batteva come durante una lunga corsa e alcune parti del suo corpo avevano reazioni che egli non stentava a giudicare strane e illogiche, poiché non volute dalla sua mente. Così quando nel guardare una giovane fanciulla che camminava, magari ancheggiando, portando una grossa brocca d’acqua sopra il capo, gli accadevano questi effetti strani, si spaventava e sentiva forte in cuor suo il senso di colpa di non poter accudire ancora la famiglia se si fosse lasciato andare a questi istinti che il suo corpo provava.
Sempre più di rado andava al villaggio, sovente mandava qualcun altro al suo posto, ma questo non bastava; oramai anche in sogno molte donne gli apparivano ed egli aveva le stesse reazioni, e pur cercando di reprimerle, strani umori uscivano dal suo corpo nel sonno.
Il lavoro quotidiano era diventava ogni giorno più pesante, la mente che lo conduceva continuamente altrove non gli permetteva di rimanere attento alle azioni del corpo e la fatica raddoppiava. Il sorriso scomparve dal suo volto.
Una sera sul calar del sole, quando aveva quasi finito il lavoro dei campi, decise di caricare il carro e partire per il villaggio. Dopo aver percorso una parte del tragitto la stanchezza lo colse e lasciò che le sue stanche membra si stendessero sul terreno vicino ad alcuni alberi, presso una fonte e si riposò. Senza accorgersene scivolò nel sonno.
Non sapeva da quanto tempo si era addormentato quando un lieve rumore, come di un fruscio di stoffe, lo svegliò. Aprì gli occhi, era oramai quasi buio, e vide alla fonte, a pochissima distanza da lui, una giovane donna con la pelle scura e le spalle scoperte che prendeva acqua per abbeverare la sua bestia. Questa donna gli sorrise e i suoi denti bianchi si illuminarono alla luce della luna che stava sorgendo. Ella riempì la sua otre e gli offrì da bere. Porgendogli l’otre, si inginocchiò vicino a lui… Il profumo della sua pelle entrò nelle narici di Aisainer ed arrivò alla sua testa come per stordirla. La donna continuava a sorridere, tutte le sensazioni che lo avevano così spaventato riemersero mille volte più potenti, incontrollabili. Pensò confusamente di alzarsi e di correre via, ma una sorta di paura gli bloccò le gambe.
La luna spuntando dietro la collinetta, illuminò anche le scure gambe scoperte. La fanciulla gli si accostò. In quell’attimo Aisainer pensando di stare veramente male chiuse gli occhi e la fanciulla gli posò le mani sul suo viso e lo accarezzò. Poi prese le sue mani tremanti e le posò sui suoi fianchi, pur anco se erano ruvide dal duro lavoro, e senza che Aisainer si rendesse conto di ciò che stava accadendo fu travolto da qualcosa che gli sembrava appartenere più all’animale che all’uomo, ma che allo stesso tempo aveva qualcosa di divino. Non poté fare altro che abbandonarsi e provò qualcosa di così forte dentro di lui che mai avrebbe pensato potesse esistere, quasi come se la morte stesse per coglierlo mentre la vita lo rendeva completamente pieno.
Così come era comparsa, così la fanciulla si stava allontanando illuminata dalla luna, insieme alle sue bestie.
Aisainer sentì il suo corpo come mutato, il suo sorriso che si allargava.
Si alzò. Il peso che da anni gravava sulle sue spalle si era di colpo alleviato.
Ritornò al suo carro, al suo viaggio… alla sua vita.

I commenti sono chiusi.