Questa parola rimbalza come una sirena rotta nelle sale ovattate di Bruxelles e Washington, nei talk-show dove i collettoni incravattati si commuovono a comando e poi firmano l’ennesima fornitura di bombe guidate. Nel frattempo, a Gaza, il conteggio macabro ha superato quota 58380 morti – donne, bambini, anziani, macerati dai crolli, strappati alla vita dalle schegge o svuotati lentamente dalla fame . Altro che “danni collaterali”: sono nomi, volti, piatti rimasti freddi sul tavolo.
Lassù, in quelle stesse capitali che recitano il rosario dei “diritti umani”, si sa benissimo che un bambino su tre passa giorni interi senza cibo. Negli ospedali–rudere, 218 piccoli scheletri viventi combattono la morte per malnutrizione grave, numero in crescita ogni ora . Mentre scrivo, l’ospedale Al-Shifa aggiunge l’ennesima riga al registro: 21 bambini stroncati dalla fame in appena tre giorni . Se l’inferno avesse un manuale operativo, si leggerebbe pressappoco così.
Ma ecco il colpo di teatro: mentre i corpi si assottigliano, a Gerusalemme i ministri ultrà proiettano un video in computer-grafica: grattacieli scintillanti, yacht sul lungomare, zero palestinesi all’orizzonte – la “Gaza Riviera”. Un sogno da brochure immobiliare, condito dall’invito a “volontaria emigrazione” di due milioni di persone . È qui che l’ipocrisia diventa barzelletta macabra: l’Occidente strabuzza gli occhi, bofonchia “preoccupazioni”, poi tace quando su quei moli arrivano i cargo di armi con il suo marchio di fabbrica.
Più di 100 organizzazioni umanitarie urlano che è “imperdonabile” star fermi mentre la fame viene usata come proiettile Il Consiglio di Sicurezza balbetta, l’ICJ istruisce un caso di genocidio, e intanto la conta delle vittime cresce, la farina tocca 100 dollari al chilo nei mercati di fortuna . Se questa è la “comunità internazionale”, allora la comunità è defunta e il diritto un certificato di morte timbrato.
E noi?
Noi—cittadini dell’impero del like, spettatori con l’indignazione a intermittenza—restiamo complici finché lo stomaco non ci si rivolta abbastanza da rovesciare il telecomando e buttare fuori i trafficanti di retorica. Perché questa non è una cronaca di guerra: è il referto autoptico dell’Occidente su se stesso. E, se continuiamo così, la data di morte è già vergata: **25 luglio 2025**, la giornata in cui abbiamo deciso che la fame di un bambino valeva meno di un posto a tavola al prossimo vertice sulla “crescita inclusiva”.
Vergogna, ancora. Finché non diventerà azione.
Sauro Tronconi