UN CIECO CHE SEGUE UN ALTRO CIECO

Seguire l’errore altrui è una forma di cecità scelta: abdico alla fatica di vedere con i miei occhi e, per comodità o paura, mi allineo al passo di chi mi precede. Ma l’errore preso in prestito non si limita a deviare la rotta; erode lentamente l’identità di chi lo adotta. Così, quando la caduta arriva, non è soltanto un inciampo collettivo: è la scoperta che, nel cammino, ho smarrito la mia capacità di discernere.
La fede cieca sostituisce la presenza vigile con la sudditanza, trasformando l’opinione dominante in via obbligata. In questo scambio iniquo rinuncio al rischio di sbagliare in prima persona—che sarebbe, almeno, un errore vivo, generativo—per accontentarmi di un errore ereditato, sterile quanto rassicurante. «Un cieco che segue un altro cieco» ricorda allora l’anestesia di chi preferisce l’appartenenza alla verità, la comodità del coro alla vertigine del giudizio autonomo.
La via d’uscita non è opporre un’altra verità dogmatica, ma riattivare lo sguardo interiore: riconoscere la fragilità del vedere, assumersi la responsabilità di interrogare ogni passo, accettare che la luce che ci guida è sempre parziale ma, se coltivata, sufficiente a evitare l’abisso della delega. Così anche l’errore, scelto consapevolmente, diventa maestro; mentre l’errore copiato resta soltanto un vicolo cieco—perché l’oscurità altrui non si rischiara quando spegniamo la nostra.
Sauro Tronconi

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