Lo stolto e la fine del mondo (quella vera, non quella su Netflix)

Lo stolto, come il topo, ha un talento eccezionale: fiuta il pericolo e non fa nulla. Non perché non sappia cosa fare, ma perché il solo fatto che qualcosa sia “troppo grande” lo paralizza e lo assolve. Davanti a una guerra, a un’ingiustizia, a una catastrofe climatica, lo stolto aggrotta le sopracciglia, dice *“eh, ma che ci vuoi fare?”*, si infila in una rassegnazione comoda e climatizzata, e se possibile apre un pacchetto di patatine.
Lo stolto è un genio della deresponsabilizzazione. Dice cose come:
– “Non sono un esperto.”
– “Io non ne capisco, ma secondo me…”
– “Sono tutti uguali.”

E intanto condivide un meme.
Ma attenzione: lo stolto non è cattivo. È pigro.
Ha delegato la propria coscienza a un algoritmo e il pensiero critico al gruppo WhatsApp.
Ogni tanto si accorge che qualcosa non va, ma preferisce credere che “tanto è sempre stato così”. E con questo trucco da prestigiatore dell’ignoranza, si perdona tutto.
Lo stolto non si nasconde per paura: si nasconde perché pensa che il mondo sia un film già scritto.
E poiché crede che non si possa cambiare nulla, non cambia nulla.
E poiché non cambia nulla, conferma che nulla si può cambiare.
(Lo chiamano paradosso performativo, ma lui lo vive come “realismo”.)
E qui arriviamo alla parte tragicomica: sarà proprio lo stolto a portarci alla fine dell’umanità.

Non l’apocalisse in stile hollywoodiano, ma una più sottile, più elegante fine: quella del pensiero, della coscienza, della responsabilità.
La vera rivoluzione, oggi, non è urlare, ma pensare.
Non è indignarsi a comando, ma svegliarsi dal torpore automatico.
Assumerci la responsabilità non del mondo intero, ma del piccolo tratto di mondo che attraversiamo ogni giorno.
Magari cominciando con lo spegnere la televisione e accendere un dubbio.
Perché se il mondo lo stanno governando gli stolti, il minimo che possiamo fare… è non fargli compagnia.

Sauro Tronconi

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