IL TEMPO NON È CIO’ CHE IMMAGINIAMO

E se il tempo fosse la grande legge che sfugge all’uomo? Lo scandiamo con gli orologi atomici, lo inseriamo nelle equazioni relativistiche, governiamo satelliti e acceleratori in funzione dei suoi intervalli. Tutto ciò, però, potrebbe averci fatto trascurare l’aspetto più decisivo: il tempo non è soltanto la coordinata che misura una sequenza di eventi, è una sostanza che permea e sostiene l’esistenza stessa. Ogni struttura, dal quark al pensiero, richiede un “fluido temporale” per manifestarsi. La fisica lo tratta come parametro; la biologia lo riconosce come ritmo circadiano, replicazione cellulare, senescenza; la mente lo avverte come continuità e memoria. Eppure questa sostanza, tanto onnipresente quanto invisibile, rimane in gran parte elusiva nella nostra comprensione.

La vita umana offre un laboratorio immediato di osservazione: il tempo della nostra biografia sembra dissolversi a goccia a goccia. Più la civiltà perfeziona la tecnica, più fatichiamo a cogliere che questa “sostanza-tempo” è intimamente legata alla coscienza. Gli individui appena più desti percepiscono un lento stillicidio: durante la veglia apparente, simile a un sonno leggero, qualche parte essenziale di noi si consuma. Le tradizioni sapienziali millenarie lo confermano: perdere tempo equivale a dilapidare la possibilità di costruire la propria essenza.

La ragione profonda è che l’automatismo cosmico—quella vasta rete di processi autopoietici che mantiene in movimento galassie, ecosistemi, economie e algoritmi—assorbe il tempo come nutrimento basale. Ogni forma vivente, dalla cellula all’uomo, “produce” tempo convertendo energia in durata; quel ricavato viene subito risucchiato dal meccanismo globale che, in assenza di consapevolezza, lo redistribuisce altrove senza lasciarne residuo all’individuo. Se però riusciamo, mediante l’inversione della dispersione che chiamiamo autocoscienza, a bloccare parzialmente questa fuga centrifuga, la sostanza-tempo inizia a coagulare. Si addensa in un nucleo interiore capace di sostenerci come entità autonome: non più greggi sacrificabili, ma soggetti dotati di autentica facoltà di scelta. Nella neurofisiologia, questo stato corrisponde a una stabilizzazione dei circuiti attentivi e mnemonici; nella metafisica, all’inizio della costruzione dell’essenza.

Lo strumento privilegiato con cui la “grande macchina” impedisce il raggiungimento di una massa critica di tempo interiorizzato è la distrazione. L’erosione continua della memoria a lungo termine, la modulazione dopaminergica che sposta di continuo il centro dell’attenzione, la perdita di direzione esistenziale: tutti concorrono a evitare che un individuo accumuli sufficiente densità temporale. La macchina non ha regista né centro di comando; è un fenomeno emergente, autoreplicante, che opera su scale spaziotemporali di cui ignoriamo l’origine e alle quali, nondimeno, siamo vincolati.

In apparenza il tempo è illimitato; nella misura umana, invece, è scarso e preziosissimo. L’evoluzione culturale procede per lo più su binari automatici, sicché la storia collettiva sembra ripetersi in cicli che riflettono ritorni cosmici di forze immense. In questo contesto, le tecnologie nate per semplificare la vita amplificano l’effetto ipnotico: social network, streaming incessante, realtà virtuali on demand. Questi strumenti sottraggono tempo a rivoli costanti; basta un minimo di lucidità per scorgere come i flussi di notifiche erodano l’attenzione. Molti giovani ne risultano catturati prima che il nucleo di coscienza abbia tempo di consolidarsi; il loro stato interiore rimane labile, quasi un sonno vigile. In termini fenomenologici diventano “zombie”: esseri dotati di reazioni ma poveri di presenza.

Il fenomeno è acuito dal fatto che il nostro sistema solare si trova in una regione periferica della galassia, lontano dal suo centro dinamico. In queste zone, le correnti automatiche sono più potenti e la probabilità di formare coscienza stabile diminuisce. Il primo passo, dunque, è accorgersi—con i frammenti di consapevolezza faticosamente guadagnati nel nostro lungo viaggio evolutivo—degli automatismi che ci dominano, e tentare di fermare l’emorragia di tempo prima che sfoci nell’oblio irreversibile.

La natura, per equilibrio, dispone anche di strumenti che, se compresi, possono diventare alleati: uno di essi è la noia. Spinta strutturale che coinvolge mente, sensi e corpo, la noia ci costringe a desiderare, a progettare, a sognare. Se rimaniamo inconsci, essa alimenta il consumo compulsivo di distrazioni; se la osserviamo con vigilanza, può trasformarsi in varco di silenzio in cui il tempo smette di defluire e comincia ad addensarsi. Per questo ogni tradizione di evoluzione—dalle meditazioni orientali alla preghiera contemplativa, dai riti sciamanici alla moderna auto-osservazione fenomenologica—pone il tempo al centro del lavoro interiore: rallentarlo, dilatarlo, renderlo tangibile.

Occorre quindi affrontare la dipendenza dalla noia e l’illusione che il tempo “passi”. Il tempo non scorre: permane come sostanza che può essere dilapidata o interiorizzata. Non si rigenera né si distrugge; si conserva o si perde. Tutte le dimensioni dell’esistenza, a ogni livello, poggiano su questa permanenza. La grande illusione è la sensazione di flusso; grazie a quel trucco crediamo di poter “risparmiare” tempo, sviluppiamo ansia di accumularlo e finiamo per disperderlo ancor più. In realtà, l’unica vera rigenerazione avviene attraverso un prodotto raro e potente dell’evoluzione: il processo di coscienza, il quale, raggiunta la massa critica di tempo condensato, genera l’essenza. In termini biofisici, potremmo parlare di un campo coerente di informazione; in termini spirituali, di un’anima che si rende autonoma dalle correnti automatiche.

Riconoscere il tempo come sostanza comune a fisica e metafisica è la soglia di una scoperta fondamentale: apre alla possibilità di una scienza dell’essere in cui misure quantitative e qualità esperienziale diventano due facce dello stesso continuum. Approfondirla significa non soltanto spiegare l’universo, ma anche emancipare l’umanità dalla schiavitù della distrazione, restituendole la chance di scegliere la propria traiettoria evolutiva anziché subirla.

Articolo tratto da un saggio di Sauro Tronconi

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