La libertà del vuoto

Accade che spesso l’uomo sia come le acque: ha sempre bisogno di riempire qualsiasi vuoto. Quando manda via da sé un pensiero. subito sopraggiunge un altro pensiero, quando allontana da sé un oggetto subito ricompra un altro oggetto, quasi come se  lasciare uno spazio vuoto fosse impossibile, allo stesso modo nel quale un pensiero segue e precede un altro. Ma ricorda, o mio Re, solo in quel vuoto è possibile il silenzio, solo in quel vuoto per l’uomo è possibile comprendere e vedere. Più il tempo fra uno spazio vuoto e un altro si allunga più l’uomo è capace di ricevere e sentire, così come più lasci una terra senza semina e pulita, più possibilità avrai che una volta seminata, anche i piccoli semi non forti germoglieranno. E anche i piccoli semi portati da lontano dal vento potranno trovare la loro dimora.
Ma il vuoto nell’uomo, spesso genera paura e così egli fa come l’acqua: riempie.
Come quando trasporti un oggetto in una grande cassa e devi fare molta attenzione, poiché se non sarai cauto si muoverà di qua e di là, così l’uomo ha paura di questo muoversi e perché non accada riempie la cassa di tanti oggetti fitti, fitti; a quel punto nulla potrà più muoversi, ma una cosa si confonderà con l’altra e non potrai più distinguere. Comprendi o mio Re?

 

Sulle rive del Grande Fiume, viveva un uomo che aveva imparato fin da piccolo a togliere il miele dalle dimore delle api. E così egli raccoglieva il miele. Portava le sue api dov’era necessario e raccoglieva un miele sempre più buono e sempre più prezioso. Ed egli aveva nella sua grande casa una stanza ripiena di grandi ciotole di terracotta ove il  miele era contenuto, e appena una veniva svuotata subito altro miele la riempiva. Ed egli considerava il miele la cosa più preziosa che potesse avere. E sempre più questa stanza era ripiena di contenitori di terracotta a loro volta pieni di miele. Le grosse giare erano anche state appese in modo che la stanza ne contenesse sempre di più. Oramai il miele era la sua vita. Miele che arrivava e miele che veniva venduto, null’altro.
E quando non era preso dal lavoro, andava nella stanza del miele e lì si sedeva in compagnia del bene più prezioso che aveva, sentendosi riempito dal suo aroma e dal possederlo.
Un giorno, un grande terremoto scosse tutto il villaggio e quelli vicini. Era proprio uno di quei momenti in cui l’uomo si beava di ciò che possedeva nella stanza del miele. Le scosse furono talmente forti che i contenitori di terracotta picchiando l’uno nell’altro si ruppero. Il miele cominciò a colare ovunque, a colare dalle grande giare appese fino a sommergerlo. Annaspò era difficile muoversi in quel liquido vischioso che lo stava sommergendo e conscio di non poter arrivare alla porta, cercò un contenitore vuoto per potervi respirare dentro. Non lo trovò e morì.

 

A volte quando l’uomo fa uscire qualcosa da dentro di sé, è per lasciare il posto a un’altra cosa che arriverà e si comporterà come quella precedente. Ma ricorda o mio Re, ricorda il silenzio… Il silenzio può arrivare solo nel vuoto, in quello spazio dove una cosa è andata e una non è ancora arrivata.
Il silenzio è quell’attimo in cui senza nulla possedere, senza nulla avere, oltre a te stesso, tutto può essere tuo e tutto può essere compreso. È quel momento in cui, lasciato andare il pensiero, gli occhi del cuore possono aprirsi e vedere, non oscurati da un’altra immagine o da un altro pensiero. In quel momento l’uomo è come Dio, nulla può fargli male, nulla lo può attaccare, nulla ha la stessa dimensione di quando ogni cosa si accavalla ad un’altra.
Ed è semplicemente così…

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