Babele

Jassel era un uomo che aveva fatto della crescita del proprio spirito lo scopo della sua vita. Da quando aveva vent’anni aveva deciso di incontrare uomini considerati sapienti e saggi, per allargare il suo animo, e così cominciò ad cercarli.
Molti dicevano di lui aspetti diversi, grandi frasi e altisonanti parole, egli faceva tesoro di questo e plasmava la sua vita in funzione di questo. Ma questo accumulare pareri e consigli appesantiva non poco il suo animo e creava a volte confusione nella sua mente.
Un giorno, gli fu detto che l’uomo più saggio che viveva in quei tempi in tutte le terre conosciute era arrivato in un paese non distante da quello ove lui viveva. Appena saputo questo Jassel vi si recò. Grande fu l’attesa e altrettanto grande il suo stupore quando vide un uomo molto comune,  nient’affatto vecchio e sorridente, che parlava senza allungare il suono di ogni singola parola. Come tu ben sai spesso l’uomo ha del saggio l’idea che sia una persona vecchia, con una lunga barba, occhi intelligenti, con un abito consono al suo ruolo e un fare che ti fa sentire piccolo al suo cospetto. Un sapiente cui non sono ancora imbiancati i capelli dà poca fiducia, così come il suo discorrere di cose comuni della vita e il magiare o bere come tutti fanno.
Quando ci si trova davanti ad una persona di cui non noteresti nulla se lo incontrasti casualmente per strada, una persona che poi nemmeno ti guarda poi così dritto negli occhi, ma parla senza dare sentenze come se fossi un compare incontrato per strada, immediatamente sorge il dubbio se questo sia un vero saggio oppure un impostore. Ma visto che oramai era lì provò sfiduciato a chiedergli: “Dimmi, o saggio, qualcosa di me”.
L’uomo lo guardò e gli rispose in una lingua a lui sconosciuta. Jassel lo invitò gentilmente a parlare nella sua lingua, ma il saggio allargò le braccia facendo intendere che non lo poteva fare. Jassel intese che l’uomo non sapesse parlare la sua lingua, anche se gli sembrava di aver sentito farlo poco prima, e, considerandosi astuto, cercò in paese qualcuno che conoscesse la lingua nella quale il saggio gli aveva parlato e il giorno dopo ritornò da lui facendosi accompagnare da colui che avrebbe potuto tradurre le parole che gli venivano dette. E di nuovo chiese al saggio: “Dimmi di me!”.
Il saggio gli proferì una frase ancora in una lingua diversa. A questo punto, Jassel, un po’ indispettito ne chiese motivo, e il saggio, come fosse sordo, si occupò delle sue faccende.
Per Jassel umiliato quella strana situazione si era trasformata quasi in una sfida e pensò di tornare con un’altra persona che conosceva quella lingua. Arrivarono in tre al cospetto del saggio, che fece un largo e amorevole sorriso e prima ancora che Jassel gli ponesse la domanda, gli parlò usando un altra lingua ancora.
A questo punto, Jassel si spazientì, inveendo e borbottando se ne andò, giurando a se stesso che non si sarebbe mai più recato da quell’uomo.
Un giorno, dopo che parecchio tempo da questo episodio era passato, Jassel camminando sulle rive del Grande Fiume vide da lontano il giovane cosiddetto saggio seduto su di un sasso. Istintivamente ebbe il moto di scappare lontano per non incrociarlo neppure. Poi, visto che era molto stanco e avrebbe dovuto allungare di molto la sa strada per ritornare a casa, decise di passare di lì, girandogli le spalle come per osservare qualcosa dall’altra parte. Un fischio forte e acuto lo fece girare di scatto. E in quell’attimo incrociò gli occhi del saggio. Qualcosa dentro di lui rimescolò le sue certezze, non sapeva cosa fosse, ma sentì come una sensazione nuova che si impadroniva di lui da dentro. E non riuscì a staccare gli occhi da quelli del saggio, anzi si accorse che non voleva neppure farlo. A quel punto con semplici parole nella sua lingua il saggio cominciò a parlare senza che lui glielo avesse chiesto: “Ora tu capisci bene ciò che dico, perché sei pronto e ciò che ti sto dicendo entra nel tuo cuore e non nella tua mente. Ma a questo punto io posso anche tacere perché entrerò nel tuo cuore come tu entrerai nel mio…”

O mio Re, ricorda… l’uomo che si aspetta qualcosa dagli altri, non vive di se stesso.  Questo non significa chiudere le porte agli altri, ma saper sentire nel profondo del cuore quello che sei, qualsiasi cosa gli altri dicano. E quando sei pronto le parole non serviranno, perché l’essere vero può intendersi meglio attraverso il silenzio.
Ricorda, o mio Re!

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