Intervista

Quando e come ha iniziato la sua formazione?

Ho veramente iniziato la mia formazione quando molto giovane, alla fine degli anni settanta, immerso nell’atmosfera culturale alternativa di allora, studiando psicologia e antropologia mi resi conto che non trovavo negli ambienti accademici ingessati di allora quelle innovazioni culturali di ricerca che in altre parti del mondo stavano formando movimenti di opinione e di osservazione dell’uomo molto importanti: l’antipsichiatria  di Cooper e Laing, il movimento di psicologia umanistica di Maslow, le sperimentazioni di bioenergetica del grande Alexander Lowen, la filosofia evoluzionista, la nuova maniera di intendere la fisica e la matematica. Insomma un mondo in fermento che mi interessava e in quella direzione scelsi di andare. Ovviamente in quel periodo era forte l’attrazione per l’oriente che molti intellettuali e ricercatori avevano. L’India fu un passo fondamentale per la mia formazione, per cominciare a collegare dentro di me la crescita interiore con la conoscenza e la cultura. Fu in quei lunghi mesi di India che compresi come fosse importante unire dentro di me oriente e occidente, senza gettare via nulla.

Quale senso ha avuto per lei la ricerca in Oriente?

L’Oriente è stato per me un ritorno a casa, una casa interiore, ma non una casa fisica in cui rimanere a lungo. Non ho mai pensato di trasferirmi in Oriente, sento un forte radicamento con l’Occidente, mi muovo e penso attraverso certi canoni culturali che fanno parte della mia formazione profonda. L’Oriente però è stato fondamentale, per farmi scoprire un aspetto troppo celato in Occidente. Nella mia prima permanenza in India non realizzai veramente ciò che compresi una volta tornato in Italia, dove misi veramente a frutto le esperienze fatte.

Da qui lo stimolo a viaggiare, cercando di trovare quello che mi interessava: partendo dalle mie osservazioni sulla condizione attuale della coscienza dell’essere umano e delle sue potenzialità in relazione al suo processo evolutivo, mi interessava approfondire gli sforzi di migliaia di anni che moltissime culture hanno fatto in questa direzione.

Per mia formazione, penso che una visione culturale ristretta che non tiene conto di approcci culturali diversi, sia la morte della possibile evoluzione dell’Uomo in futuro. In Oriente per motivi storici e culturali, molte antiche conoscenze sono rimaste ancora alla portata della nostra ricerca, a patto di saper dove guardare e sapersi liberare di orpelli ideologico-religiosi, o almeno di valutarne l’ingerenza.

E’ importante però specificare che ho fatto ricerche e collegamenti importanti anche con le civiltà precolombiane in Messico e Guatemala, con la civiltà Egiziana, quella Etrusca e  quella Greco-Romana

Quale è stata la sua ricerca in Occidente?

L’occidente è la scommessa che ci stiamo giocando per il prossimo millennio. Vi è ormai un influenza globalizzante inarrestabile di modelli di pensiero e di conseguenza del modo che ha l’individuo, ovunque sia, di vedere se stesso e ciò che lo relaziona con il mondo. La mia ricerca è stata ed è ancora imperniata sull’osservazione di ciò che siamo, di ciò che ci influenza e di come possiamo sfruttare le straordinarie possibilità che questa era ci offre, senza venire schiacciati o uniformati in un torpore generalizzato. Vivo e lavoro in occidente, ho scelto consapevolmente di stare qui e di confrontarmi con questo.  Per contrasto fu proprio l’incontro con l’Oriente che mi spinse ancor di più a guardare l’occidente, soprattutto la filosofia ed ovviamente lo studio delle radici culturali del Cristianesimo.

Quali sono stati i personaggi per lei importanti?

Molti,  a cui sono grato per gli insegnamenti e per le opportunità di crescita che ho avuto.

Alexander Lowen, Osho Rajneesh, Gyo Yakada Hizuguchi, e moltissimi compagni di viaggio, alcuni dei quali fondamentali, incontrati per pochissimo tempo, così poco da non conoscerne nemmeno il nome. Altri che non ho potuto conoscere personalmente per ragioni anagrafiche sono stati George Ivanovitch Gurdjieff , Sri Aurobindo, Henri Bergson.

Potrei fare un lunghissima lista. Anche chi mi ha creato attrito e repulsione in qualche modo mi ha dato informazioni. Non occorre sempre pensarla allo stesso modo per trarre insegnamento. Quello che accomuna tutti quelli che considero miei Maestri è dare all’individuo la capacità di elaborare in maniera personale ed unica la propria esistenza.  A tutti sarebbe utile riuscire a selezionare filosofi e saggisti senza remore o blocchi, spaziando attraverso diversi tempi e culture, ma mi rendo conto che per molti portare via qualche ora al giorno alla visione televisiva si potrebbe rivelare un sacrificio troppo grande e allora bisogna accontentarsi del pensiero liofilizzato che altri hanno già digerito. Se manca, alla base, la cultura della ricerca fatta con gusto e soddisfazione, mancherà il piacere della conoscenza

Quale ruolo ha ricoperto la filosofia nella storia dell’uomo?

Filosofia significa mettere in luce, significa rendere possibile una osservazione e un orientamento consapevole della vita, ma ritengo che non si possa generalizzare il concetto di filosofia. Fare filosofia, a mio avviso, non può essere pura speculazione intellettuale e mentale, come troppo spesso è accaduto, ma l’uso dell’intelletto per osservare l’uomo in relazione agli eventi, insomma la capacità di comprendere se stessi in relazione a tutto ciò che accade momento per momento. Intendo una filosofia pratica, esperienziale, che come dice Socrate, il filosofo nella “polis”, è un modo di essere e operare nella realtà, è anche elaborare pensiero ed azione nuovi in relazione all’epoca e agli attriti che si vivono. Spiegare o cercare verità assolute non può essere fare filosofia e neppure essere scienziati. Filosofia è azione in relazione, è intelligere ed agire, è comprendere e fare collegamenti, è condividere con altri, è la coscienza che diviene attraverso la parola cosciente di se stessa. Forse come diceva Aristotele è impossibile non fare filosofia ed anche chi non se ne interessa in realtà la fa. E’ l’uomo che guarda se stesso che è una delle più alte e fondamentali capacità che abbiamo per accelerare ed allo stesso tempo armonizzare le nostra evoluzione.

E’ necessario ritrovare oggi, nella filosofia la cura dell’ “anima”, una cura che sia anche un cammino di formazione che deve spodestare l’idea moderna che vivere bene sia trovare la risposta ad ogni interrogativo, cosa che porta spesso l’uomo a trovare soluzioni preconfezionate o a ridurre i sani interrogativi in affari da risolvere con farmaci o terapie.

Spesso parla di filosofia presocratica. Che senso ha tornare ad un pensiero così antico?

Premetto che i miei seminari sono esperienziali e non solo didattici. Credo sia fondamentale, soprattutto per noi occidentali ritrovare le radici culturali degli antichi filosofi presocratici e cominciare a comprendere lo spirito che animava quegli antichi ricercatori, uno spirito che ritengo sia fondamentale ritrovare e rinnovare per il nostro futuro.

La filosofia presocratica dava enfasi allo sviluppo interiore dell’uomo, alla sua capacità di comprendere e di agire collegando le informazioni in suo possesso. Una filosofia che prendeva in considerazione l’uomo come sistema psicofisico e non come intelletto. Anche il prendere coscienza di se stesso era un punto fondamentale della filosofia presocratica.

Nei miei seminari questo aspetto è fondamentale, alla base di ogni processo cognitivo ed evolutivo deve esserci colui che è cosciente di fare esperienza, e questo deve essere al centro di qualsiasi ricerca, anche di natura scientifica più ampia. Al centro è necessario ci sia l’uomo, mentre oggi spesso vi è l’ideologia e questo crea un drammatico sbilanciamento. In questo modo ciò che abbiamo creato attraverso la scienza, che dovrebbe essere di aiuto all’uomo e al nostro ambiente, può divenire una specie di boomerang autodistruttivo.

Cosa l’ha spinta a tenere corsi e seminari?

Ho praticamente passato tutta la mia vita di adulto proponendo agli altri le mie esperienze e sperimentando assieme nuove e diverse vie di crescita interiore. Dalla meditazione, alle tecniche di attenzione dei Dervisci del 1200, dalla bioenergetica (che amo in modo particolare) all’osservazione della psicologia classica. Ci siamo spinti in acque diverse e spesso poco esplorate, abbiamo cercato di comprendere il significato di “fare filosofia” per un presocratico o per un pitagorico, abbiamo pescato a piene mani dalla cultura del rinascimento e dai Veda dell’india antica; abbiamo lavorato cercando di comprendere il senso del teatro nell’antichità, abbiamo cercato di rispettare quei linguaggi simbolici  che formano la base del nostro pensiero e anche di recuperare i linguaggi simbolici e matematici di molte culture che andrebbero riscoperti e utilizzati come potenzialità di trasmissione culturale.

Tutto questo non per fare un operazione di sincretismo. A mio avviso non è culturalmente corretto mescolare le cose uniformandole, è invece opportuno che ogni cosa mantenga ben chiare e distinte le proprie diversità e peculiarità, lo scopo è invece quello di andare avanti, mantenendo le diversità e di avere nuove visioni e nuove possibilità di esplorare noi stessi.

Questa continua ricerca mi spinge a tenere corsi e seminari, cerco persone che vogliano sperimentare in maniera disincantata, che vogliano essere dei “vedenti” non dei “credenti”, individui che hanno voglia di trovare in sé la fiducia del libero pensiero.

Ho scoperto negli ultimi decenni di incontri con migliaia di persone, che questi individui esistono e se si danno loro strumenti e informazioni per aumentare la propria capacità di comprendere le cose, sono spinti profondamente verso la loro crescita personale. Questo lavoro lo intendo come un creare le condizioni, il clima interiore adatto a riflessioni ed osservazioni, lo considero come un antidoto all’immobilismo dei dogmi o delle ideologie. Ma poi ognuno deve essere libero i fare proprie scelte consapevoli, di trovare la propria via e verità. Credo che sia fondamentale ritrovare e coltivare in ognuno di noi la soddisfazione del vivere, non la cieca lotta contro una vita problematica, ma il dare spessore ed unicità al proprio vivere.

Lei ha creato un metodo di sviluppo dell’autoconsapevolezza, cosa significa e in cosa consiste?

Ho chiamato questo lavoro “Self Awareness Growing Process” processo di crescita dell’autoconsapevolezza, cioè generare nell’individuo una situazione interiore tale da aiutarlo a crescere e sviluppare la propria e personalissima coscienza di sé. E’ un concetto culturale semplice e sviluppato da tutte le tradizioni e in tutte le culture umane, anche se a volte mascherato e confuso da ideologie o dall’esercizio del potere dell’uomo sull’uomo. Tutti noi siamo in divenire, in crescita, ed è un progetto evolutivo individuale e collettivo. In ciascuno di noi è insita la potenzialità di farlo, in ciascuno esiste la tensione verso il miglioramento e la bellezza. Mettere a frutto questa spinta non è un processo automatico, non è innato, abbiamo bisogno delle condizioni giuste, sociali, culturali che ci permettano  questo, ma soprattutto dobbiamo avere la volontà di farlo. Poi è utile qualcuno che possa darti quelle informazioni che possono diventare uno strumento per potere mettere in pratica nella propria vita e alle proprie condizioni questo processo.

Il mio lavoro consiste principalmente in questo, passare informazioni fare in modo che gli individui possano elaborare e attivare in loro una cosciente volontà all’apprendimento e alla soddisfazione della crescita. Poi comunque ognuno dovrà elaborare personalmente la sua vita. Io non possiedo verità oggettive da trasmettere, ognuno dovrà trovare la sua propria, dovrà essere in grado di elaborare le informazioni da solo facendo collegamenti e avendo anche idee nuove ed originali, non campate in aria, ma basate su esperienza ed osservazioni reali.

Allora oggi cosa significa processo di crescita dell’autoconsapevolezza, non confondetelo con una specie di esercizio intellettuale, è invece pratica, che passa, come mi ha insegnato Alexander Lowen dal corpo e dall’azione cosciente. Non è una cura ai problemi, ma il creare le condizioni per poter trarre dal vivere, nel bene o nel male, il meglio per ognuno di noi.

Ha scritto libri di generi diversi, quale pensa sia il senso della comunicazione scritta?

La parola scritta è un modo potente di comunicare di passarci informazioni. Lavora molto più in profondità della comunicazione visiva, che è certamente più immediata e coinvolgente, ma ci porta all’esterno. La parola scritta invece ci porta dentro, ci fa prendere più coscienza di noi e di ciò che elaboriamo.

Per quanto riguarda i miei libri mi sono cimentato in varie modalità di scrittura, dal saggio al racconto, ovviamente per me un libro resta un mezzo per comunicare e far riflettere, non certamente un passatempo. Allo stesso tempo la scrittura deve essere di facile comprensione, è inutile rendere complicate le cose. Penso che la forma più complessa e potente di scrittura per far passare conoscenza sia quella che ha a che fare con le emozioni. La storia narrata, il romanzo, la parabola arrivano direttamente al cuore e ci danno più informazioni ed emozioni di un saggio. Difficili a volte per chi scrive senza essere un professionista della scrittura, come me.

Comunque un libro deve essere anche gradevole o almeno interessante altrimenti lo sforzo della lettura fa perdere la percezione del significato.

In molte sue conferenze ha parlato di “linguaggio”. Quale importanza riveste nella nostra società?

Siamo nell’epoca della comunicazione, della possibilità di accedere a moltissime informazioni, siamo nel tempo della comunicazione veloce che deve contenere il maggior numero di informazioni nel minor spazio possibile e deve arrivare al maggior numero di persone possibile ed essere comprensibile da più individui possibile. Questo modifica inevitabilmente il linguaggio. Per linguaggio intendo non solo la comunicazione verbale ma anche le altre forme di espressione, ad esempio le immagini hanno nel nostro tempo la predominanza rispetto ad altre forme di comunicazione, gli spot pubblicitari ad esempio devono dare più informazioni possibile nel minor tempo possibile, le immagini quindi contengono molte informazioni a più livello, devono essere molto rapide ed abituare lo spettatore a leggere, anche inconsapevolmente, il messaggio. E’ quindi ovvio che questo tipo di linguaggio, imperante ed in continua evoluzione, influenza il linguaggio che ognuno ha anche nei confronti di se stesso.

Noi parliamo con noi stessi in modo completamente diverso rispetto alle persone di cinquanta anni fa, è importante avere coscienza di questo se si vuol iniziare un percorso di comunicazione cosciente con noi stessi. Anche per chi propone metodologie di crescita interiore questo aspetto è fondamentale. Poi, di contro, andando più in profondità scopriamo che la percezione del sé ha ancora le stesse radici di uomini di migliaia di anni prima. Cambiano il tempo e lo spazio, o almeno la percezione che abbiamo dello spazio-tempo. La velocità va spesso a scapito della profondità. Non sempre riusciamo a seguire con la parte profonda la velocità della comunicazione, spesso si ha la sensazione di essere sommersi dalle informazioni, creando una specie di colore uniforme ove tutto si mischia, una specie di anestesia comunicativa, ove si perde ancor più la relazione vera con noi stessi. Credo che un lavoro reale, una ricerca concreta debba tener conto di questi fattori, e penso che ogni individuo possa fare riflessioni in questo senso ed imparare ad avere un linguaggio reale con se stesso.

Come si pone rispetto ai movimenti ambientalisti e alle spinte ecologiste?
Da un lato non posso che essere felice che qualcuno si muova e faccia qualcosa perchè ci si renda conto dei gravi rischi che stiamo correndo, dall’altra mi preoccupano i fraintendimenti e le manipolazioni che queste spinte di coscienza popolare subiscono.  Torno sempre al mio punto, se manca l’individuo la massa diviene ideologia e automatismo, si rischia di perdere di vista ciò che è davvero necessario ed urgente e ci si irrigidisce su posizioni radicali e irreali

Cosa pensa dell’amore e della pace?

Penso non dipenda solo dalla società, ma sia soprattutto una questione individuale. Intendo dire che se se l’uomo non evolve, se non cresce interiormente, se prima di tutto la pace non è dentro di noi come individui, non potremo mai averla fuori come Umanità. Se l’uomo vive la sua vita come un continuo conflitto con se stesso e col mondo, non sa cosa significa veramente la pace, diventa solo un concetto morale di cui molti parlano e pochissimi comprendono.

Parlare di amore mi riesce difficile, cosa intende? L’amore come ideologia di rapporti tra tutti gli uomini? L’amore fra individui? L’emozione? La sensazione?  “Amore” è una delle parole più difficili da esprimere in un solo modo o con una sola accezione. Se è amore è un’emozione e descriverlo diventa impossibile. Di certo so che l’amore umano, quello che sperimentiamo come individui, cambia radicalmente se siamo in uno stato di tor­pore e di sonno nel quale normalmente ci si lascia trascinare oppure se siamo in uno stato di presenza attiva dove viviamo l’amore pienamente. Spesso confondiamo i bisogni e i desideri con l’amore che diviene così un’illusione.

Per quale motivo fa spesso riferimento, nei suoi scritti e seminari, a Gurdjieff, e alla “Quarta Via”?

George Ivanovitch Gurdjieff è stato il primo in tempi moderni a portare in Occidente un tipo di cultura che era scomparsa da secoli se non da millenni e che anche in Oriente aveva subito terribili colpi soprattutto in relazione all’irrigidimento del fondamentalismo religioso. Una cultura basata sull’idea dell’uomo che costruisce la propria essenza, la propria anima. L’Uomo messo al centro del rapporto reale con se stesso, un rapporto pratico, fatto di azioni e di crescita della coscienza di sé. Un idea molto forte nel Rinascimento e che a mio avviso diede l’avvio alla straordinaria crescita culturale di quel periodo. L’uomo nei fatti, non l’ideologia sull’uomo. La pratica dell’individuo nella responsabilità innanzi tutto verso se stesso, poi di conseguenza in relazione al suo ambiente.

Un concetto culturale, che fa parte delle radici reali dell’Occidente e anche dell’Oriente, unendoli in una visione comune. Una visione che si può riassumere in breve: divenendo coscienti di noi iniziamo a cambiare in meglio ciò che ci circonda e le cose orrende che affliggono l’umanità, nascono prima di tutto dall’inconsapevolezza degli individui. La priorità viene quindi posta sullo sviluppo della coscienza individuale.

Gurdjieff ha iniziato a portare come insegnamento che lo sviluppo, la crescita interiore, non è certamente riservato a eremiti, monaci o yogi, ma è un processo che deve essere fatto nella vita quotidiana, all’interno della nostra famiglia e della nostra società. Estraniarsi dalla propria realtà porta in una sorta di illusione e di vita virtuale.

Ha conosciuto personalmente il controverso Maestro indiano Osho Rajneesh. Cosa pensa di lui?

Ho incontrato Osho Rajneesh alla fine degli anni settanta nel mio primo viaggio in India.

Una esperienza che mi ha richiesto anni per poter essere compresa nel giusto modo, ed ancora oggi dopo quasi trenta anni ritrovo in me i segni importanti di quell’esperienza.

Non posso dire certo che sia stata una fulminazione, andai nel suo ashram di Poona solo per vedere come venivano messe in pratica quelle metodologie occidentali legate alle ultime frontiere della psicologia e della psichiatria. Pochi sanno che in quegli anni Poona fu un singolare crogiuolo di esperienze in quel senso, vi erano terapisti, per lo più psicologi e psichiatri, da tutto il mondo che sperimentavano le nuove concezioni della psicologia unite alla meditazione e alla conoscenza mistica della straordinaria tradizione spirituale indiana. Osho Rajneesh parlava, parlava molto e trascinava in osservazioni molto “illuminanti”.  Quindi non fu una cosa immediata comprendere lo straordinario lavoro che stava facendo Osho in quei tempi, la sua era una situazione che attirava persone dalle più disparate esperienze, da tutto il mondo, una possibilità fantastica per incontrare pensieri e modi diversi.

Sono certo che lascerà un segno potente nella storia della coscienza occidentale, ma attenzione, se leggerete i suoi bellissimi libri, ricordate sempre che Osho parlava, non scriveva e che la fragranza di un Maestro si coglie sempre e solo nel presente. Ho avuto modo di ascoltare dal vivo molti suoi discorsi. Era tutte le volte un evento, non erano solo parole che passavano, ma comprensione, emozione, percezione di se stessi. I lettori di Osho dovrebbero imparare a leggerlo cercando di ascoltarsi dentro, mentre lo fanno, senza lasciarsi influenzare da ciò che è stato detto su di lui, né dai suoi seguaci, né da chi lo ha criticato.

Che rapporto ha con la religione?

Forse sarebbe meglio dire con le religioni. Se si fanno osservazioni sulla coscienza e sull’Uomo è inevitabile interessarsi delle religioni, esse sono una parte fondamentale del percorso umano su questo pianeta, nel bene e nel male. Dovrebbe essere indispensabile studiare la storia attraverso i movimenti di coscienza, poiché questi hanno un peso determinante sull’economia, la politica e le formazioni ideologiche.

Sarebbe importante iniziare a rileggere la storia partendo da questo punto di vista, ci aiuterebbe molto a capire chi siamo e quali sono le nostre radici. Tutte le religioni sono linguaggi potenti, fatti di simboli e di cultura, nate sulla spinta fondamentale dell’essere umano alla ricerca e all’evoluzione, ritrovarne le radici vere porterebbe linfa vitale e nuova in quelle religioni secolarizzate che spesso hanno perso le chiavi di lettura di se stesse.


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